I Blues Ash of Manhattan, conosciuti anche come Blues Ash band, nascono in Molise attorno all’idea di Giampalerio Arcari e Davide Perrella, appassionati di blues, ma alla ricerca di qualcosa che possa dargli modo di toccare anche cuori meno elitari. Da qui si uniscono al progetto i fratelli Valentino e Niko Notte, rispettivamente basso e batteria del gruppo, e Tony De Cesare alle percussioni, ultimo acquisto in casa Blues Ash band. Con la formazione al completo il nome che viene scelto è quello di Blues Ash of Manhattan, perché, per una strana coincidenza del destino, il loro primo spettacolo live si è svolto proprio l’11 settembre 2001. Le sette tracce di cui è composto l’album sono tutte parimenti penetranti e ad effetto, e gran parte del merito va sicuramente alla voce di Giampalerio, roca, profonda, graffiante e calda, come nella migliore tradizione rock, ma al tempo stesso avvolgente come una carezza di vento, ideale per accompagnare un genere così particolare come il blues, composto principalmente di ritmo sincopato e percussioni. La chitarra di Davide impressiona soprattutto durante gli assoli, dove emerge prepotente e complice, a rimarcare la propria presenza tra la batteria accarezzata dalle fruste e il basso dolce in sottofondo, il tutto completato dalle percussioni che conferiscono alle singole tracce un gusto dolceamaro di indubbia qualità. I testi sono intensi, ricchi di emozioni e di energia, che viene trasmessa anche in accordo alla parte strumentale, fondendosi in ricchi giochi cadenzati e graffianti pur nella loro delicatezza. I temi affrontati denotano una profonda introspezione da parte di chi li ha scritti, lasciando intendere un lavoro di base estremamente complesso e raffinato, che coglie ogni singolo aspetto e sfaccettatura dell’ampio spettro delle emozioni umane, e si inserisce nell’essenza di ogni persona che lo ascolta, trasmettendo positività ed energia. A mio modesto avviso il disco è buono, ma visti live devono essere eccezionali. Potremmo paragonarli ai Nickleback mescolati a Bob Dylan. Con un’armonica in sottofondo la fusione sarebbe completa.
Nel 1977 firmano il loro primo contratto discografico con la Epic e l’anno successivo pubblicano il primo album: Molly Hatchet. Il produttore è Tom Werman che in precedenza aveva già lavorato con artisti del calibro dei Cheap Trick e Ted Nugent[3]. In breve tempo i Molly Hatchet raggiungono una discreta fama. Flirtin’ with Disaster del 1979 vende un milione e mezzo di copie. I Successivi Beatin’ the Odds del 1980 e Take No Prisoners del 1981 (entrambi con il nuovo cantante Jimmy Farrar) ottengono buone posizioni nella classifica USA. Durante gli anni ottanta vengono prodotti gli album No Guts…No Glory (con il ritorno di Danny Joe Brown alla voce e l’innesto di Riff West al basso e John Galvin alle tastiere), The Deed Is Done, Double Trouble Live e Lightning Strikes Twice che vede la sostituzione di Dave Hlubek con Bobby Ingram (già nella Danny Joe Brown Band)[3]. Dopo sette anni di silenzio, nel 1996 Bobby Ingram dà vita ad una nuova versione della band, pubblicando l’ottimo Devil’s Canyon. Durante le registrazioni dell’album il cantante Danny Joe Brown è costretto a lasciare per problemi di salute. Il suo posto viene preso da Phil McCormack che diventa l’elemento stabile in tutti i successivi lavori della band.
fonte: Wikipedia
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